Il comune di Castel del Piano, in provincia di Grosseto, ha avuto insediamenti umani fin dal Neolitico. Questo antico borgo, posto ad una altitudine di 637 metri s.l.m. e con circa 4000 abitanti, offre ai suoi visitatori la chiesa di San Niccolò e Lucia e Palazzo Nerucci, del XIV secolo.
Fin dall’890 Castel del Piano è uno dei possedimenti dell’Abbazia di San Salvatore, che impone la sua autorità su quel territorio per almeno quattro secoli. Allora è nominato nei suoi documenti come “casale Plana”. Nell’XI secolo gli Aldobrandeschi riescono a strappare all’Abbazia il vicino borgo di Montenero. Un secolo più tardi il potente casato di origine longobarda si afferma anche su Castel del Piano. Alla divisione della famiglia, nel 1274, il territorio corrispondente all’odierno comune viene destinato al ramo dei Santa Fiora.
Nel 1331 i Santa Fiora cedono il borgo alla Repubblica di Siena, che ha sottomesso gli Aldobrandeschi al termine di una lunga campagna militare guidata dal condottiero senese Guidoriccio da Fogliano. Con la caduta di Siena, nel 1559, si afferma su tutti i comuni della montagna grossetana l’autorità dei Medici e del loro Granducato di Toscana. Il comune ne ha seguito le sorti fino all’Unità d’Italia. Durante la Seconda Guerra Mondiale Castel del Piano è stato uno dei primi centri ad organizzare un Comitato di Liberazione Nazionale.
La città rievoca ogni la sua storia medievale con il Palio delle Contrade di Castel del Piano, dedicato al culto della Madonna Santissima delle Grazie. Le origini di questa manifestazione risalgono addirittura alla “Fiera di Merci e Bestiame” del XV secolo, quando secondo gli storici si sono iniziate a svolgere le prime corse di cavalli. Dal 1431 la manifestazione ha assunto anche carattere religioso. Secondo la leggenda un’intercessione della Vergine salvò quattro soldati di Castel del Piano, avvertendoli di abbandonare il campo di battaglia prima che arrivassero i nemici. I quattro allora fuggirono portando al loro paese d’origine l’icona sacra che aveva loro parlato.
Il Palio moderno nasce nel 1765 e viene corso per la prima volta il 7 luglio 1771, per interrompersi nel Novecento a causa dei conflitti bellici. Nel secondo dopoguerra le corse dei cavalli sono riprese ma solo dal 1967 si è ripristinata la divisione per contrade (Borgo, Monumento, Poggio e Storte). Oggi, il Palio si disputa ogni 8 settembre ed è preceduto da un corteo storico che rievoca gli avvenimenti del periodo compreso tra XIV e XV secolo.
Edificio tardo rinascimentale (di ispirazione vignolesca in pietra concia), commissionato nel 1490 e officiato verso la metà del sec. XVI. E’ dedicata alla Natività della Madonna.
La facciata ed il campanile (progetto del pittore ed architetto Orazio Imberciadori) furono terminati solo nel 1870. Il frontone è caratterizzato dall’immagine di Dio e angeli. Nelle nicchie vi sono le statue di San Pietro, San Paolo, San Vincenzo Ferrer e San Niccolò; vi sono inoltre gli stemmi del Comune, dei Medici e dei Savoia. La vetrata della finestra, moderna, è del Prof. Bruno Buracchini. Il campanile del 1829 è un’opera in pietra concia di 35 metri di altezza. Il portone è protetto da un chiavistello metallico del 1630 (tuttora funzionante).
La volta (stile sec. XV) fu dipinta nel 1905 da Francesco Notari; vi è rappresentato: “gloria d’angeli e colomba dello Spirito Santo, San Giuseppe, Sant’Aloisio” (prima campata), “Cristo nella mandorla, Sant’Anna e Sant’Isidoro” (seconda campata), “San Vincenzo Ferrer, San Nicola e Santa Lucia” (arcone trasversale d’accesso al presbiterio). La cupola è settecentesca. L’organo è della ditta Agati, del 1866; la fonte battesimale del 1890.
L’altare maggiore è opera del mazzuoli, con le statue laterali di san Rocco e San Sebastiano; la grande tela (485 x 270 cm) rappresenta la “Natività di Maria Vergine”, è stata dipinta da Giuseppe Nicola Nasini (1657 – 1737) nel 1705.
La facciata in concio di peperino è stata terminata solo nel 1932, di stile rinascimentale, nella parete laterale, in Via San Giovanni, si trova un nicchione per la “raccolta degli oboli a riscatto degli schiavi cristiani” (1656); l’edificio commissionato nella metà del sec. XV, officiato dal 1504 e ampliato nel 1512.
Sulla parete destra dell’unica navata vi sono i dipinti “Madonna del Carmine” di Francesco Nasini (1611 o 1621 – 1695) e la “Madonna del Rosario con Santa Caterina da Siena, San Domenico, San Francesco d’Assisi e Papa Pio V” sec. XVII. Sulla parete di sinistra si nota la tela dell’”Immacolata Concezione” di Anna Muschi di Castel del Piano e Alessandro Teerlink del 1838, copia di un’opera originale del pittore spagnolo Murillo che si trova attualmente al museo dell’Ermitage di San Pietroburgo.
Sullo scenografico altare settecentesco dello svizzero Cremoni si può ammirare una tavola su fondo oro derivata da Sano di Pietro (1460 – 1481), rappresentante la “Madonna col Bambino tra San Giovanni Battista e San Bartolomeo e angeli”; il retro, parzialmente visibile dal coro ottocentesco, rappresenta l’ideogramma di San Bernardino, forse per l’influsso del vicino Convento (fondato nel 1221) del Santo al Colombaio nel Comune di Seggiano (di cui purtroppo oggi rimangono solo rovine).
La chiesa, una delle più antiche, sorge su una preesistente cella benedettina del sec. IX, alla quale fu annessa un’altra cella, poi chiesa battesimale, di San Giovanni battista, ora demolita. Le prime notizie si hanno dal 1198, da una bolla di Papa Innocenzo III all’abate dell’Abbazia di San Salvatore alla quale apparteneva. Edificio di pietra concia in stile romanico, ampliato nel 1451 assieme al campanile, tempo in cui fu soppressa la Pievania di San Giovanni. Nel 1520 fu eretto un nuovo campanile per il quale furono usati i materiali dell’antico cassero, ora demolito.
La facciata ha subito numerosi rimaneggiamenti che hanno trasformato l’originale stile romanico in neogotico nel 1915 (portale d’ingresso e rosone).
L’interno si sviluppa su tre navate, la centrale con copertura a capriata. Nella parete sinistra vi è un sacello di peperino lavorato, poi il battistero, già prezioso tabernacolo di chiesa Piccina, qui trasferito in epoca rinascimentale, in alabastro.
L’organo del 1854, opera dei fratelli Agati di Pistoia. Vicino all’altare di San Gerolamo le due lastre marmoree con epigrafi e stemma nobiliare dei Nerucci (colomba con nel becco ramo d’ulivo). Su quest’altare vi è un dipinto di San Gerolamo forse della scuola dei Nasini. Sulla navata destra, sull’altare di San giovanni, vi è la tela “Nascita di San Giovanni Battista” attribuita a Francesco Vanni. Nella parete di destra vi sono tracce di affreschi probabilmente quattrocenteschi, in alcuni di questi si può scorgere forse l’angelo dell’annunciazione e San Cristoforo.
La chiesa si trova nella parte storica del Paese, fu edificata ai primi del secolo XIII; di gusto romanico è stata molto rimaneggiata a partire dal 1600. La prima citazione è del 1216, ma la sua costruzione risale presumibilmente al sec. XI.
Nel 1587 è propositura di S. Niccolò e Lucia e con questo titolo amministrava numerose proprietà. In una descrizione del 1653 si dice che la chiesa ha un’unica navata, una sacrestia e un piccolo campanile edificato sopra il coro. All’esterno, in una parete laterale, quella che porta alla via del vecchio pretorio e sopra l’arco, vi sono scolpite delle croci a forma di Tau (forse retaggio di un influsso templare?). La chiesa nei vari secoli ha subito varie modifiche fino al 1858; il nuovo campanile fu terminato solo nel 1900.
All’interno si conserva la statua della “Madonna di Loreto” del 1634, di legno intagliato, dipinto a policromia, restaurata nel 1987. Il paese di Castel del Piano dedica un culto particolare alla Madonna di Loreto: nel 1634 dei devoti paesani si recarono in pellegrinaggio a Loreto e ne riportarono una copia della Madonna. La particolarità di quest’immagine è che – essendo andato perduto in un incendio nel 1921 l’originale laureano, che risaliva al XIV – paradossalmente la copia casteldelpianese risulta più antica della statua che si trova oggi a Loreto. Partendo dall’ingresso principale troviamo a destra l’altare di Santa Croce e San Desiderio, con sopra la tela “Verifica della vera croce” attribuita a Francesco Nasini; di quest’opera qualche critico ha voluto vedere un influsso dal “Giorno” (1523) del Correggio.
Un secondo altare di Sant’Antonio con sopra l’immagine del santo. Nei pressi è collocato un dipinto “double face” (probabilmente uno stendardo professionale), raffigurante da un lato la “Gloria del SS. Sacramento) (1771) e dall’altro il “Miracolo di Bolsena” opera di Gioacchino Sorbelli. Degna di nota è un’acquasantiera in travertino.
Ritratta di una piccola cappella, probabilmente seicentesca, affidata oggi alla confraternita della Misericordia (costituita da benemeriti cittadini nel 1870). La facciata esterna è di estrema sobrietà, da notare accanto alla porta un’elemosiniera di pietra a forma di conchiglia. All’interno, ad un’unica navata, si può ammirare uno dei più bei dipinti di Francesco Nasini “Lo sposalizio della Vergine” (1664); ai lati dell’altare vi sono due dipinti di Giuseppe Nicola Nasini e del figlio Apollonio, “Riposo durante la fuga in Egitto” e “Sogno di San Giuseppe”. La cappella, se pur di piccole dimensioni, suscita una certa suggestione, infatti l’architetto Vincenzo Vincenti ha scritto: “Ma ciò che più caratterizza architettonicamente quest’ambiente, è l’altare in stucco che si presenta nelle forme tipiche della ‘ macchina barocca ’ inteso a produrre anche qui, in questa piccola chiesa, l’emozione prodotta dalla tangibilità del soprannaturale”. La chiesa è stata recentemente restaurata (1995).
Antica cella benedettina del IX – X secolo, costruita dai monaci di San Salvatore. Vi veniva conservata una statua moderna del professor Baracchini raffigurante Santa Lucia.
Resti di un convento francescano soppresso nel 1784 e ora completamente diroccato; rimangono solo i resti del campanile. Sembra che vi sostarono sia San Bernardino che Santa Caterina. Anche se mai confermato da nessuno studioso, la voce popolare parla di un tunnel sotterraneo tra San Processo e la Pieve di Lamulas (pieve romanica nel comune di Arcidosso, che merita comunque una visita).
Si trattava di una cappella rurale ubicata nei pressi del paese, fondata dagli Aldobrandeschi nel 1097, passata poi ai Camaldolesi dell’eremo del Vivo; è citata nelle decime del 1200, 1300. L’edificio disfatto e rovinato fin dal XVII secolo fu ricostruito da Francesco Aurelio Ginanneschi, protomedico del Papa, tra il 1752 e il 1754 con una nuova chiesina dedicata al Sacro Cuore che tuttora possiamo vedere malgrado il tetto sia crollato e l’interno invaso dalla vegetazione; rimane comunque ben distinguibile l’altare che doveva custodire la Madonna del Noceto, ora nella Chiesa dell’Opera.
Questa misteriosa figura di penitente pellegrino, precursore assieme al mistico Brindano (al secolo Bartolomeo Marosi di Petroio, sec. XVI) del profeta millenarista Davide Lazzaretti (1834 – 1878), eresse decine di croci, forse per un voto o come segno di profonda pietà intorno alla metà del secolo XIX – comunque a tutt’oggi resta sconosciuto il reale scopo.
La voce popolare lo voleva vescovo francese o ufficiale belga, secondo altri invece non era affatto francese, ma originario di Vercelli col nome di Audiberti. Proclamava di essersi fatto penitente per purgarsi della colpa di aver votato, quale membro della Convenzione Repubblicana – durante la rivoluzione francese – la condanna a morte di Luigi XVI e di Maria Antonietta. Per questo infatti aborriva il filosofo Voltaire e tuonava contro ogni forma di modernismo, contro i nemici della Chiesa e dell’ordine costituito.
Le sue croci, che si trovano nella maggior parte dei casi all’incrocio di strade, all’ingresso dei paesi e nei luoghi di maggior rilevanza, sono state recentemente restaurate. Se ne annoverano circa sedici nel Comune di Castel del Piano e nei comuni limitrofi. Le più significative sono: la croce di Federico nei pressi della chiesina di Santa Lucia (particolare perché vi è scolpito un volto, forse una “Veronica” o altro simbolo templare, come in certe Croci Catare in Francia; questa improbabile ipotesi sembrerebbe corroborata dall’appellativo dell’Audibert “l’omo bono”, che suona come il “bonhomme” degli eretici francesi); la croce di Montoto vicino al campeggio, nella strada per Arcidosso; la croce di Casidore nei pressi di Pian del Ballo.
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