L’origine di Montignoso si perde nel lontano medioevo, le prime notizie risalgono infatti all’anno 753, quando Astolfo, re dei Longobardi, dona al cognato Anselmo, fondatore e primo abate dell’Abbazia di Nonantola (MO), un oliveto posto nelle vicinanze del Castello Aghinolfi, il cui olio doveva servire a mantenere i lumi nella Chiesa.
Sicuramente il Castello, o Fortezza, come gli abitanti di Montignoso preferiscono chiamarlo, ha origini più antiche ed è sempre stato un punto di riferimento essenziale in quanto rappresentava un baluardo sicuro a protezione delle piccole borgate poste lungo il Canale di Montignoso.
Riguardo ai primi abitanti della nostra zona: un’antichissima tradizione vorrebbe che alcuni corsari, sbarcati sulle spiagge e spintisi verso l’interno, fabbricassero un villaggio chiamato Corsanico dal nome loro, villaggio ritenuto anche adesso dagli abitanti come la più antica borgata del montignosino; un’altra voce racconta invece che verso l’anno 577 dell’era volgare, una colonna partitasi da Luni edificasse Montignoso per relegarvi i malfattori.
Vere o false che siano queste voci è certo che quando Luni per le invasioni dei Barbari e la insalubrità del clima cominciò lentamente a scadere, molti dei suoi abitanti cercarono asilo sui monti vicini, ove dettero mano a costruirsi capanne e case, “chissà che il simigliante non avvenisse ancora per Montignoso?” (G. Sforza – Memorie storiche di Montignoso).
Sempre forte è stato l’attaccamento dei Montignosini alla religione che non era testimoniato solo dalla Pieve di San Vito, che edificata prima dell’anno mille, venne demolita agli inizi dell’ottocento e si trovava nel lato verso Massa del nostro Cimitero che si chiama appunto di San Vito, ma anche da altre Chiese e Oratori sparsi nelle frazioni di Capanne, Piazza, Prato, Cerreto, San Eustachio e Vietina. Purtroppo il territorio durante la seconda guerra mondiale dovette sopportare per ben sette mesi i bombardamenti aerei e il connoneggiamento navale degli Alleati, e così di tante Chiese si salvò solamente quella di San Eustachio e qualche altra Cappella.
Le attuali Chiese di San Vito e di Santa Maria della Rosa ed altre sono infatti approssimative ricostruzioni delle preesistenti.
A Montignoso resta tuttavia la gloria di aver dato i natali a tanti uomini illustri: Niccolao Giorgini (1773-1854) ad esempio, che addirittura divenne capo della Reggenza della città di Lucca per conto di Leopoldo II, Cesare Bertagnini (1827-1856), che distintosi fin da giovane nella chimica, scrisse saggi fondamentali sulla materia, Giovanni Sforza (1845-1922), storico e archivista di gran talento e il figlio Carlo Sforza (1872-1952) che, entrato in diplomazia nel 1896, ricoprì numerosi incarichi al Cairo, a Parigi, a Pechino, è più volte ministro degli Esteri e nel 1919 fu nominato senatore e ambasciatore a Parigi fino all’avvento del fascismo. A lui si deve la firma di importanti trattati, come quello di Rapallo con la Jugoslavia e un forte contributo all’adesione dell’Italia al Piano Marshall e al Patto Atlantico; nel 1948 è ancora senatore e morirà in questa carica a Roma.
Da ricordare inoltre che nella stretta valle che dal mare risale verso il culmine delle Apuane sorge Villa Schiff Giorgini, una residenza nobile dell’800 con giardino e statue di marmo , oggi sede del Comune di Montignoso.
La famiglia Giorgini è stata una delle più prestigiose del luogo, simbolo di un’antica nobiltà che ha lasciato il segno, con i suoi esponenti più noti, nel mondo politico, culturale e scientifico del tempo. Vi sono anche ricordi di Alessandro Manzoni, la cui figlia Vittoria sposò il senatore Giovan Battista Giorgini.
Di quel tempo è rimasta la costruzione, il gioco dei piani costruttivi e soprattutto il parco, che con le sue secolari piante rende ancora più ospitale il luogo.
La seconda pala d’altare rinascimentale presente a Montignoso è quella dipinta nella Chiesa di San Eustachio, e datata 1495 come tutt’oggi si può ancora chiaramente leggere lungo il finto gradino inferiore, che riporta anche notevoli frammenti delle denominazioni dei Santi e dal quale due personaggi lasciano sporgere un piede secondo il consueto artificio prospettico.
Il soggetto è ancora quello della Vergine in trono con Bambino, con ai lati i Santi Eustachio, Giovanni Battista, Maddalena e Vito, riuniti in un’unica tavola secondo una concezione più moderna del trittico precedente. L’altare si compone poi di una lunetta con un Padre Eterno benedicente interposta fra due Angeli.
Nella predella sono raffigurate le vicende del Santo Patrono (Eustachio), con una deposizione al centro e i Santi Paolo e Pietro ai margini. Questi episodi sono di efficace capacità narrativa, immersi in ampi paesaggi. Vi si leggono fantastiche vicende della vita del Santo che coinvolgono raffigurazioni animalesche, con il cervo che porta la croce in mezzo alle corna, il leone che non sbrana la famiglia dell’ex pagano convertito, l’idolo metallico a forma di toro cavo nel quale il protagonista venne racchiuso e martirizzato col fuoco per essersi rifiutato di adorarne il simulacro sacrale.
Entrambi i pittori, fino a tempi recenti più noti con i nomi convenzionali di Maestro di Stratonice e Maestro dell’Immacolata Concezione, sono artisti lucchesi , tra i principali interpreti e divulgatori di quel linguaggio figurativo diffuso a Lucca nella seconda metà del XV secolo, con cadenze desunte da Botticelli, Ghirlandaio e Filippo Lippi.
Nella stessa Chiesa di San Eustachio una splendida Madonna con Bambino lignea, databile entro i primi anni del Trecento, di recente riconosciuta ad un artista della cerchia di Giovanni Pisano (Tino di Camaino) o forse delle stesso maestro.
Si tratta di un’opera realizzata con larghi colpi di sgorbia, scolpita di getto. La Madonna è seduta e il Bambino con un libro nella sinistra e la destra in atto di benedizione, sta in piedi, poggiando sulla gamba della madre che lo sorregge con la mano.
Oltre queste opere, di indubbio valore artistico, il territorio è ricco anche di “marginette” o “maestà” come gli abitanti preferiscono chiamarle, di buon pregio, ora tutte catalogate, testimoni del cammino e della religiosità dell’uomo nel tempo.
L’elemento più caratteristico del territorio, già frequentato dagli antichi Liguri-Apuani, è rappresentato dal castello Aghinolfi, poderosa fortificazione altomedievale. I sapienti restauri hanno portato alla luce le diverse fasi della sua costruzione che sono ancora oggi visibli e documentate in loco con pannelli esplicativi.
Villa Schiff – Giorgini è invece una residenza ottocentesca frequentata in passato da personaggi della cultura e della politica, tra i quali Massimo d’Azeglio. Oggi ospita la sede comunale ed è visitabile il suo grande parco ricco di piante secolari e statue di marmo.
Porta Beltrame testimonia il passaggio della Via Francigena e caratterizza l’area come interessante terra di passaggio e di confine.
Il Paese può vantare, fra le sue opere di particolare ricchezza artistica, quelle conservate nelle Chiese: abbiamo infatti nella Chiesa parrocchiale di San Vito e Modesto, situata in località Piazza, un trittico d’altare del pittore lucchese Michele Ciampanti del 1482, raffigurante la Madonna col Bambino tra i Santi Giovanni Battista , Vito, Modesto e Pietro.
L’altare dipinto è un’opera di chiaro pregio e qualità, brilla di nitida bellezza nella semplicità compositiva: è presente uno scomparto centrale, con la Vergine in trono e un bambino di gusto e stile rinascimentale con due angioletti laterali di uguale grazia.
L’elemento più caratteristico del territorio di Montignoso, già frequentato dagli antichi Liguri-Apuani, è rappresentato dal Castello Aghinolfi, poderosa fortificazione altomedievale, uno dei più antichi manieri italiani, posto a difesa della zona e fortezza mai espugnata.
Nel medioevo il Castello Aghinolfi ebbe una particolare valenza strategica e fu conteso e ambito con secolari lotte dalle comunità di Lucca e Pisa, dalla signoria dei vescovi di Luni, dai Malaspina e dai loro consanguinei Marchesi di Massa. Le fonti scritte testimoniano l’esistenza della rocca nei secoli dell’altomedioevo: una pergamena datata 753, autentica nei contenuti sebbene rielaborazione tarda del documento originale, cita un oliveto situato nei pressi del “castellum Aginulfi”.
L’antichità del documento (l’atto più antico riferito al castello, ritenuto autentico, risale al 764) ed il toponimo, di chiara origine longobarda, spinsero Alfredo d’Andrade, grande esperto di architettura medievale del secolo XIX, a considerare il mastio ottagonale uno dei più interessanti monumenti militari longobardi italiani.
La fortificazione, delimitata da un’ampia cinta muraria post-medievale, presenta una complessa articolazione interna costituita da un’area residenziale, il vecchio borgo, e da un’area più propriamente militare, caratterizzata dalla presenza del mastio.
La strada panoramica che da Montignoso conduce a Strettoia attraversa l’intera collina sulla quale sorge il castello Aghinolfi.
In prossimità della cima, una via sterrata porta direttamente agli imponenti ruderi del castello, del quale appare, in mezzo alla ricca vegetazione, un grosso sperone: l’estrema punta nord del complesso fortificato. Qui era collocata una guardiola sorretta da alcuni mensoloni ancora oggi visibili mentre, all’interno del baluardo, si trova una torre a base semicircolare.
La strada d’accesso costeggia il bastione, realizzato su di una parete di roccia. E’ su questo fianco, ad una distanza di circa 50 metri dallo sperone, che si trova l’ingresso al castello, anticamente difeso da una bertesca.
Si accede quindi all’interno del primo cortile delimitato da un’ampia cinta muraria con torri di fiancheggiamento.
Dentro questo cortile erano collocati numerosi edifici, adoperati come rifugi dagli abitanti di Montignoso, in caso di pericolo. E’ possibile scorgere ancora oggi alcune tracce di queste modeste strutture. Procedendo in direzione sud, dopo aver superato una doppia curva, la strada raggiunge la parte alta del castello, tramite un percorso scavato direttamente nella roccia e riparato verso mare da un parapetto.
Al termine della rampa si trovava una porta, oggi non più visibile, protetta da un ponte levatoio, la quale conduceva nella parte più interna del castello, un secondo cortile sul cui perimetro erano state addossate numerose abitazioni. Varcata questa porta si trovava sulla sinistra la piazza d’armi, di forma triangolare, contraddistinta da un cammino di ronda sorretto da numerosi archi e dominata dal mastio, un grosso edificio a base ottagonale unito ad una torre a base circolare tramite una cortina muraria.
Questo elemento così articolato costituisce il lato sud della piazza d’armi, dove è possibile notare alcuni resti di una modesta cappella castrense, a base rettangolare.
L’elemento architettonico più interessante del complesso fortificato è il grosso edificio ottagonale, riconoscibile anche come il più antico. Per quanto la documentazione scritta attesti la presenza di un’opera fortificata già nell’VIII secolo, la struttura ottagonale è cronologicamente assegnabile ai primi secoli del basso medioevo e sembra rivelare alcuni caratteri, come la ripartizione orizzontale a bande bicromatiche e le dimensioni interne della struttura, tipici di architetture non solo militari ma anche residenziali.
Tramite una cortina muraria la struttura ottagonale era collegata alla torre a base circolare, definita nella documentazione come “baluardo di San Paolino”. A questo complesso si accedeva tramite una scala retrattile collocata tra il terrapieno e l’impianto ottagonale, in seguito sostituita da una scaletta in muratura, visibile nelle rappresentazioni ottocentesche e attualmente non più esistente. Una volta saliti sul terrapieno, è possibile accedere al baluardo di San Paolino.
Il “baluadro di San Paolino” è contraddistinto dalla presenza di resti di merlatura e da una scala a chiocciola che, scendendo all’interno della struttura, conduce ad un’ampia apertura dalla quale si poteva controllare l’esterno delle mura. Dal terrapieno si raggiunge l’interno dell’edificio a base ottagonale.
Internamente questa struttura, definita nella documentazione come “baluardo di San Francesco”, è contraddistinta dalla presenza di una torre circolare, sulla quale grava in parte il carico di una volta anulare continua che scarica, l’altra metà del suo peso, sulla muratura perimetrale. La volta, conservata solo in parte, sorregge un piano calpestabile, una terrazza, mentre la torre circolare, non propriamente concentrica, superava in altezza l’edificio a base ottagonale svolgendo le funzioni proprie di una torre d’avvistamento. E’ proprio l’ampia visibilità, che dalla cima di Castello Aghinolfi si estende dalla costa toscana fino alla costa Ligure, a caratterizzare questa importante fortificazione.
All’interno del complesso architettonico sono individuabili strutture risalenti a momenti storici diversi.
La torre ottagonale sembra riconducibile ai primi secoli del basso medioevo Recenti datazioni avvenute su frammenti di carbone inclusi nella malta assegnerebbero la costruzione ad un periodo compreso tra la metà del secolo XI e la metà del secolo XII. In quel periodo il castello Aghinolfi era costituito solamente dalla grossa torre, che assolveva nello stesso tempo alle funzioni di difesa e probabilmente di dimora. Tra le rovine non sono apprezzabili resti di strutture propriamente trecentesche, ma si possono attribuire a questo periodo alcuni interventi di risarcimento delle murature dell’impianto a base ottagonale. Il castello sembra essere stato pesantemente modificato nel secolo XV, al quale potrebbe risalire l’aspetto architettonico che attualmente lo contraddistingue. Una grossa torre a base circolare, assieme ad un terrapieno, aveva lo specifico ruolo di difendere nel versante montano l’antica struttura ottagonale, che assumeva la funzione di mastio. Il complesso si componeva così di un ampio perimetro fortificato, definito nelle fonti scritte come primo procinto, e di un secondo procinto. La documentazione del XVI secolo riferisce dell’esistenza di numerose abitazioni, circa 130, esistenti nei due procinti, delle quali sono oggi visibili solamente le fondamenta. Le case erano state erette dai Montignosini come rifugio in caso di pericolo e per questo motivo conservavano derrate alimentari, vino, olio e carne secca. Nel 1585 venne abbattuta la parte alta del mastio, ritenuta più pericolosa che utile.
Alla fine del cinquecento risale la sistemazione della piazza d’armi, realizzata tramite la demolizione degli edifici adiacenti al mastio e, probabilmente, la costruzione del muro perimetrale est, con il cammino di ronda e gli accessi al corridoio sotterraneo.
L’importanza della fortezza di Montignoso, alla fine del secolo XVI e agli inizi del XVII, era tale per i Lucchesi da richiedere ulteriori interventi fortificatori soprattutto per proteggere il lato rivolto a levante, dove artiglierie nemiche avrebbero potuto infliggere gravi danni; tuttavia la costruzione di nuove murature sarebbe costata una ingente somma, pari a tremila scudi, e una commissione incaricata preferì spendere una modesta cifra per rinforzare quelle già esistenti.
Non si hanno notizie di interventi realizzati nel castello posteriormente al secolo XVII e lo stesso cadde in rovina verso la metà del secolo XVIII.
Carlo Lodovico di Borbone, Signore di Lucca, lo acquistò per recuperarlo, ma il suo progetto non andò a buon fine.
Recenti ricerche compiute in questi anni sul castello hanno riacceso l’interesse per il monumento ed hanno impegnato l’Amministrazione Comunale di Montignoso in un cospicuo intervento di recupero e valorizzazione. Le ricerche archeologiche e archeometriche, condotte di pari passo con i lavori di restauro, hanno consentito la scoperta di alcune importanti testimonianze e l’acquisizione di specifiche conoscenze sulle tecniche costruttive medievali. In particolare le indagini, ancora in corso, hanno messo in luce i resti di una struttura muraria, forse quadrangolare, preesistente a quella ottagonale, datata, tramite tecniche archeometriche, all’epoca carolingia. Gli esiti delle ricerche ed i risultati dei restauri si uniscono in una esposizione permanente relativa alla storia del castello.
Lasciandosi alle spalle S.Eustachio e Cerreto, percorrendo la strada immersa in boschi di castagni, dove è facile scorgere falchi, poiane, fagiani e volpi, si arriva al Pasquilio (800 metri di altitudine) dove si può godere un panorama irripetibile che spazia dai monti al mare.
Da qui è visibile tutta la costa Apuoversiliese da Viareggio fino al promontorio di Monte Marcello, l’isola Palmaria e nelle giornate più terse e serene si possono vedere in lontananza le maggiori isole dell’Arcipelago Toscano e persino la Corsica.
Si tratta di una zona montana molto frequentata per gite e passeggiate.
Questa località fu particolarmente amata da Enrico Pea, ricordato dalla cittadinanza con un busto marmoreo, dai poeti Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale e dal pittore Mino Maccari.
Alle spalle del Pasquilio domina il maestoso monte Carchio, un tempo sede di cave di marmo ormai chiuse delle quali conserva il colore candido.
Circondato da boschi di castagni e abeti è un luogo ideale per le scampagnate di chi viene qui a cercare un pò di refrigerio nelle calde giornate estive.
Nell’ultimo conflitto mondiale questa cima fu attraversata dalla Linea Gotica, linea di confine tra le truppe tedesche e americane e teatro di sanguinosi scontri, che causarono numerose perdite sia fra la popolazione, sia fra le formazioni partigiane, costituitesi dopo l’8 settembre.
Allontanandoci dal mare incontriamo il Lago di Porta, oasi faunistica gestita dal WWF e da Lega Ambiente, in cui sono state reinserite molte specie tipiche della zona, evitando così la loro completa estinzione.
Rientra nel Sistema Regionale delle Aree Protette (L.R. 49/95) quale Area Naturale Protetta di Interesse Locale (A.N.P.I.L.).
Fa parte di Rete Natura 2000, insieme di aree di interesse naturalistico europeo, quale Zona a Protezione Speciale. Il riconoscimento è dovuto alla presenza nella zona umida del Tarabuso (Botaurus stellaris), airone raro in tutta Europa e protetto da Direttive della Comunità Europea.
Il Lago di Porta rappresenta la zona umida costiera più settentrionale della Toscana, sopravvissuta alle bonifiche che hanno progressivamente ridotto le paludi caratterizzanti in epoca storica le coste toscane. Stretto tra le Alpi Apuane e la fascia litoranea della Versilia, il Lago è stato per molti secoli un’area strategica per il controllo della costa e delle principali strade di collegamento tra Pietrasanta e Massa.
Il Lago è alimentato da sorgenti che nascono ai piedi delle Rupi di Porta; l’acqua della polla situata nei pressi della Torretta Medicea ha una temperatura costante di 17° C circa.
L’area umida, mantenuta tale da argini, è in gran parte ricoperta da cannucce di palude (Phragmites australis) e le superfici di acqua libera (i “chiari”) sono di piccole dimensioni.
Attorno al canneto e all’alveo lacustre si sviluppa un bosco di recente formazione del tutto simile agli ambienti umidi della Versilia storica, costituito da specie arboree tipiche delle zone palustri: ontano nero (Alnus glutinosa), diverse specie di salici (Salix sp.pl.) e di pioppi (Populus sp.pl.).
In piccole aree sono ancora presenti prati umidi, caratterizzati dalla presenza dei carici (Carex sp.pl., Cyperus sp.pl.) e dei giunchi (Juncus sp.pl.). In questi ambienti vive una farfalla molto rara e in pericolo d’estinzione, la Lycaena dispar.
Grazie alla varietà di ambienti che vi si ritrovano, nel corso dell’anno possono essere avvistate circa un centinaio di specie di uccelli residenti, migratori o presenti solo nel periodo riproduttivo. Specifici studi evidenziano l’importanza dell’area per alcune specie legate alla presenza del canneto: forapaglie castagnolo (Acrocephalus melanopogon), falco di palude (Circus aeroginosus), airone rosso (Ardea purpurea), tarabusino (Ixobrychus minutus) e salciaiola (Locustella luscinioides).
Il Lago è una delle più importanti aree, a livello italiano, per la sosta pre-migratoria autunnale della rondine (Hirundo rustica): al tramonto centinaia di migliaia di esemplari si riuniscono sull’area umida per alimentarsi ed utilizzano il canneto per passare la notte.
Nell’area umida vivono anche anfibi (rana verde, raganella, tritone crestato), rettili (ramarro, biscia d’acqua, testuggine palustre), pesci (arborelle, cavedani, carpe, lucci…).
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